(Lire ci-dessous la version en français de l’article).
300 mila immagini del fotografo Vincenzo Vicari (1911-2007), trascurate per anni, sono state salvate grazie a fondi federali. Una selezione è ora accessibile al pubblico. Ed è anche una mostra, «Il Ticino che cambia», aperta fino al 10 gennaio 2021 a Palazzo Reali a Lugano. Abbiamo incontrato il curatore di questa mostra, l’archivista Damiano Robbiani, 37 anni, dottore in storia medievale all’Università di Friburgo e collaboratore scientifico all’Ufficio del patrimonio culturale della città di Lugano.
Matteo Cheda: Lei ha conosciuto personalmente Vincenzo Vicari?
Damiano Robbiani: No. L’ho conosciuto tramite le sue fotografie e la sua famiglia. Sono in contatto con gli eredi, in particolare con una figlia. Ci sentiamo abbastanza spesso e lei continua a proporre nuovo materiale.
M. C.: Quando ha scoperto la raccolta di fotografie?
D. R.: Nel 2012, quando ho cominciato a lavorare per l’archivio storico di Lugano. Ho visto questo materiale che purtroppo in parte era in condizioni difficili.
M. C.: Le fotografie si erano rovinate?
D. R.: Sì. Il fondo è costituito soprattutto da negativi. In particolare quelli su pellicola sono fragili.
M. C.: Sono stati conservati male?
D. R.: Erano stati conservati abbastanza male. C’era già un primo riordino ma era necessario intervenire prima di perdere il materiale. Ora i negativi sono conservati in una camera climatica.
M. C.: Perché i negativi sono stati lasciati deperire?
D. R.: Per mancanza di soldi. Nel 1988 la città di Lugano ha acquistato i negativi e le lastre di vetro da Marzio Taddei che aveva rilevato lo studio fotografico di Vincenzo Vicari e si trovava in difficoltà finanziarie. Si tratta di un patrimonio fotografico immenso. Gli scatti vanno dal 1936, quando ha iniziato la sua attività imprenditoriale fino agli anni 80. Poi però sono mancati i mezzi finanziari per conservare in modo adeguato i negativi.
M. C.: Quanto ha speso la città di Lugano per acquistare le fotografie?
D. R.: 60 mila franchi per circa 300 mila scatti. Le immagini sono rimaste a disposizione dell’autore che ogni tanto passava a prendere quello che gli serviva.
M. C.: E ora avete trovato i mezzi per mettere in sicurezza i negativi?
D. R.: Sì, grazie a Memoriav, che si occupa della salvaguardia, della valorizzazione e della divulgazione del patrimonio culturale audiovisivo svizzero, finanziato dalla Confederazione. Questi fondi ci hanno permesso di digitalizzare circa 5 mila fotografie e di cominciare a valorizzare questo materiale. Nel contratto con Memoriav era stabilito che il progetto avrebbe dovuto portare a una mostra e alla stampa di un catalogo. Ora abbiamo concretizzato questo progetto.
M. C.: Qual è stato il suo primo pensiero quando ha visto queste fotografie?
D. R.: Sicuramente lo stupore di trovarsi davanti a tanto materiale e la voglia di scoprirlo. Si trattava soprattutto di negativi. Quindi non era possibile una visione immediata. C’era bisogno di analizzare e di conoscere questo materiale fotografico.
M. C.: Quanto tempo ha dedicato all’analisi dei negativi acquistati dalla città di Lugano?
D. R.: Sei anni ma non a tempo pieno. In parallelo mi sono occupato anche di altri progetti. Ho cercato di portare avanti il lavoro con costanza, di catalogare il materiale e di renderlo accessibile nella nostra banca dati. Con la mostra, vogliamo rendere accessibile al pubblico il lavoro di questi anni. Abbiamo cercato la soluzione migliore per un fondo così vasto.
M. C.: Cosa comprende il progetto?
D. R.: Oltre alla mostra principale a Palazzo Reali e al catalogo, ci sono quattro mostre in sedi esterne e alcuni incontri con il pubblico. Per esempio, all’antico torchio di Sonvico abbiamo organizzato una mostra sul rapporto tra oralità e fotografia. L’ultima mostra, che chiuderà in aprile, è a Corzoneso all’archivio della Fondazione Roberto Donetta.(«Pietra e cemento: Vincenzo Vicari e la Valle di Blenio»).
M. C.: Se confrontiamo le prime fotografie con le ultime, come è evoluto lo stile di Vicari?
D. R.: All’inizio aveva uno sguardo più lirico, più introspettivo, più artistico. Con l’avanzare degli anni, lo stile è diventato più tecnico, più professionale. È interessante vedere come, durante tutta la sua carriera, Vicari sia rimasto affezionato alle fotografie scattate all’inizio, quindi negli anni 30 e 40. Foto che riprenderà nelle sue due pubblicazioni sul suo lavoro: una negli anni 60 e l’altra negli anni 90. In queste pubblicazioni presenta soprattutto fotografie del primo periodo, quelle di un Ticino fermo, di un Ticino che non cambia, di un Ticino rurale.
M. C.: Per questo progetto, si è ispirato ad altre mostre che ha visto in passato?
D. R.: No. Siamo partiti dal materiale archiviato, cercando il modo migliore per presentarlo. Essendo un fondo vastissimo, bisognava trovare il modo di presentare nella mostra principale un centinaio di fotografie allo scopo di dare uno sguardo alla sua produzione.
M. C.: Qual è stata la principale difficoltà?
D. R.: Sicuramente la selezione del materiale. Abbiamo dovuto canalizzare le energie. In questi casi, la difficoltà principale sta nel scegliere da che parte dirigersi. Il lavoro potenzialmente è tanto. Le risorse sono limitate. Siamo partiti dal materiale digitalizzato grazie al progetto Memoriav, considerando l’urgenza conservativa, quindi partendo dalle lastre più fragili su grande formato. Poi abbiamo cercato di completare andando a pescare nella parte non ancora digitalizzata fotografie per i settori ancora scoperti.
M. C.: Ha avuto feedback dagli eredi?
D. R.: Sono stati molto contenti.
M. C.: E il feedback dal pubblico?
D. R.: I visitatori alla mostra principale a Palazzo Reali sono molto numerosi.
M. C.: Nonostante il Covid?
D. R.: Nonostante il Covid. Sono cifre che si vedono raramente in quella sede espositiva. Siamo molto soddisfatti.
M. C.: Rispetto ad altre mostre, come si può quantificare l’affluenza di pubblico?
D. R.: Non ho ancora i dati definitivi, ma sicuramente è più alta.
M. C.: Di regola, quale parte dei costi è coperta dai biglietti d’entrata?
D. R.: Non ho le cifre. Comunque la mostra è andata molto bene.
M. C.: Quanto avete speso per allestirla?
D. R.: Poco. Come archivio storico di Lugano, abbiamo collaborato con altri enti sul territorio. I costi sono molto bassi rispetto al risultato finale.
M. C.: Parlando di soldi, Vincenzo Vicari aveva uno spiccato spirito imprenditoriale. Questo lo differenzia rispetto ad altri artisti?
D. R.: Sicuramente sì. Guardando la realtà, lui riusciva a muoversi in tutti gli ambiti. Ha giocato la sua professionalità nella fotografia ma anche nei filmati e sempre con una vitalità imprenditoriale incredibile. Penso alle cineprese vecchie che ha ritirato dai suoi colleghi per poi regalarle ai clienti chiedendo in cambio di venire da lui a sviluppare i film. Abbastanza geniale. Durante i mondiali di ciclismo del 1953, a Lugano, Vicari getta dall’elicottero i rullini ai colleghi per farli sviluppare e vendere le fotografie prima della fine della gara.
M. C.: Quante mostre ha già curato?
D. R.: Sono in carica dal 2012 come archivista per la città di Lugano. Questa è la prima mostra.
M. C.: Potendo rifare la mostra su Vicari, cambierebbe qualcosa?
D. R.: Alcune fotografie avrebbero meritato di essere viste in un formato più grande. Però gli spazi sono limitati. Quindi avremmo dovuto sacrificare una parte del materiale.
M. C.: Le foto di Vicari documentano grandi trasformazioni economiche del Ticino del ventesimo secolo. Però sulle oltre mille foto aeree poche sono state esposte. Come mai?
D. R.: Le foto aeree sono sicuramente quelle che documentano meglio la trasformazione del territorio. Però in percentuale sono molto poche rispetto al totale. La nostra banca dati contiene circa 800 foto aeree. Ogni settimana aggiungiamo nuovo materiale. Così l’utenza può avvicinarsi maggiormente al dettaglio dell’immagine e cercare le foto del comune che interessa.
M. C.: Sono previste altre mostre?
D. R.: Al momento no. Proporre mostre non rientra nei mandati del nostro ufficio.
M. C.: Si è trattato di un progetto eccezionale?
D. R.: In passato l’archivio ha prodotto diverse mostre. Poi il budget è stato tagliato per le difficoltà finanziarie della città.
M. C.: Siete in tanti in Ticino a esercitare la sua professione?
D. R.: A parte l’archivio cantonale, solo Locarno e Mendrisio hanno un proprio archivista qualificato.
M. C.: Qual è la cosa più bella del suo mestiere?
D. R.: Sicuramente la possibilità di conoscere la storia del nostro territorio. Inoltre è molto bello il contatto con l’utenza. A volte ci sono momenti emozionanti: persone con un passato difficile che cercano la storia della propria famiglia. È sempre bello aiutare a ricostruire le radici.
M. C.: E quella più difficile?
D. R.: Non saprei.
M. C.: La sua più grande delusione a livello professionale?
D. R.: Fortunatamente non ne ho avute.
M. C.: La sua più grande soddisfazione?
D. R.: Una donna stava cercando di trovare il nome di suo padre che non aveva mai conosciuto. Grazie al nostro archivio consultando anche altri archivi siamo riusciti a ricostruire la storia famigliare di questa donna dare un volto al padre. Che era morto da pochi anni. È stato forse il momento più forte, più emozionante del mio lavoro. Qualcosa che capita magari una volta nella vita.
M. C.: Cosa consiglierebbe a un giovane che desidera fare questo mestiere?
D. R.: Dev’esserci la passione per la storia del territorio. Bisogna affrontare la documentazione con il desiderio di sapere sempre di più e non fermarsi a quello che si conosce già.
«Vincenzo Vicari, témoin d’un Tessin agricole qui s’urbanise»
Par Matteo Cheda, journaliste
16 décembre 2020
300’000 images du photographe Vincenzo Vicari (1911-2007), négligées pendant des années, ont été sauvées grâce aux fonds fédéraux. Une sélection est désormais accessible au public. Et c’est également une exposition, «Il Ticino che cambia», ouverte jusqu’au 10 janvier 2021 au Palazzo Reali à Lugano. Nous avons rencontré le commissaire de cette exposition, l’archiviste Damiano Robbiani, 37 ans, docteur en histoire médiévale à l’Université de Fribourg et collaborateur scientifique à l’Office du patrimoine culturel de la ville de Lugano.
Matteo Cheda: Avez-vous connu personnellement Vincenzo Vicari?
Damiano Robbiani: Non. Je l’ai connu grâce à ses photos et à sa famille. Je suis en contact avec les héritiers, en particulier avec une fille. On parle assez souvent et elle continue de proposer du nouveau matériel.
M. C.: Quand avez-vous découvert cette collection de photographies?
D. R.: En 2012, quand j’ai commencé à travailler pour les archives historiques de Lugano. J’ai vu ce matériel qui, malheureusement, était en partie dans des conditions difficiles.
M. C.: Les tirages photographiques ont-ils été détruits?
D. R.: Oui. Le fonds est principalement constitué de négatifs. Surtout ceux qui sont sur film sont fragiles.
M. C.: Ont-ils été mal conservés?
D. R.: Ils étaient assez mal conservés. Il y avait déjà un premier rangement mais il fallait intervenir avant de perdre le matériel. Les négatifs sont maintenant stockés dans une chambre climatique.
M. C.: Pourquoi a-t-on laissé les négatifs se détériorer?
D. R.: Par manque d’argent. En 1988, la ville de Lugano a acheté les négatifs et les plaques de verre à Marzio Taddei qui avait repris le studio photographique de Vincenzo Vicari et qui était en difficulté financière. Il s’agit d’un immense patrimoine photographique. Les prises de vue vont de 1936, date à laquelle il a commencé son activité d’entrepreneur, jusqu’aux années 1980. Mais à l’époque, les moyens financiers manquaient pour préserver correctement les négatifs.
M. C.: Combien la ville de Lugano a-t-elle dépensé pour acheter les photographies?
D. R.: 60’000 francs pour environ 300’000 clichés. Les images sont restées à la disposition de l’auteur, qui est venu de temps en temps chercher ce dont il avait besoin.
M. C.: Et maintenant, avez-vous trouvé le moyen de sécuriser les négatifs?
D. R.: Oui, grâce à Memoriav, qui s’occupe de la préservation, de la valorisation et de la diffusion du patrimoine culturel audiovisuel suisse, financé par la Confédération. Ces fonds nous ont permis de numériser environ 5’000 photographies et de commencer à valoriser ce matériel. Le contrat avec Memoriav stipulait que le projet devait aboutir à une exposition et à l’impression d’un catalogue. Maintenant, nous avons fait de ce projet une réalité.
M. C.: Quelle a été votre première pensée en voyant ces photos?
D. R.: Sûrement l’étonnement d’être devant tant de matériel et le désir de le découvrir. Il s’agissait pour la plupart de négatifs. Il n’était donc pas possible de les voir immédiatement. Il était nécessaire d’analyser et de connaître ce matériel photographique.
M. C.: Combien de temps avez-vous consacré à l’analyse des négatifs achetés par la ville de Lugano?
D. R.: Six ans, mais pas à plein temps. En parallèle, j’ai également travaillé sur d’autres projets. J’ai essayé de poursuivre le travail avec constance, de cataloguer le matériel et de le rendre accessible dans notre base de données. Avec l’exposition, nous voulons rendre accessible au public le travail de ces années. Nous avons cherché la meilleure solution pour un fonds aussi important.
M. C.: Que comprend le projet?
D. R.: En plus de l’exposition principale au Palazzo Reali et du catalogue, il y a quatre expositions dans des lieux extérieurs et quelques rencontres avec le public. Par exemple, à l’ancienne presse de Sonvico, nous avons organisé une exposition sur la relation entre l’oralité et la photographie. La dernière exposition, qui se terminera en avril, se trouve à Corzoneso, dans les archives de la Fondation Roberto Donetta. («Pietra e cemento: Vincenzo Vicari e la Valle di Blenio»).
M. C.: Si l’on compare les premières photographies avec les dernières, comment le style de Vicari a-t-il évolué?
D. R.: Au début, il avait un regard plus lyrique, plus introspectif, plus artistique. Au fil des années, le style est devenu plus technique, plus professionnel. Il est intéressant de voir comment, tout au long de sa carrière, Vicari est resté attaché aux photos prises au début, puis dans les années 30 et 40. Photos qu’il reprendra dans ses deux publications sur son travail: l’une dans les années 1960 et l’autre dans les années 1990. Dans ces publications, il présente principalement des photographies de la première période, celles d’un Tessin stationnaire, d’un Tessin qui ne change pas, d’un Tessin rural.
M. C.: Pour ce projet, vous êtes-vous inspiré d’autres expositions que vous avez vues dans le passé?
D. R.: Non. Nous sommes partis des archives, en cherchant la meilleure façon de les présenter. La collection étant très importante, nous avons dû trouver un moyen de présenter dans l’exposition principale une centaine de photographies afin d’avoir un aperçu de sa production.
M. C.: Quelle a été la principale difficulté?
D. R.: Certainement la sélection du matériel. Nous devions canaliser l’énergie. Dans ces cas, la principale difficulté réside dans le choix de la voie à suivre. Le travail est potentiellement très important. Les ressources sont limitées. Nous avons commencé par le matériel numérisé grâce au projet Memoriav, compte tenu de l’urgence de la conservation. Nous sommes donc partis des plaques grand format les plus fragiles. Puis nous avons essayé de compléter en allant pêcher dans la partie non encore numérisée des photographies pour les secteurs encore ouverts.
M. C.: Avez-vous eu des réactions des héritiers?
D. R.: Ils étaient très heureux.
M. C.: Et les réactions du public?
D. R.: Les visiteurs de l’exposition principale du Palazzo Reali sont très nombreux.
M. C.: Malgré le Covid?
D. R.: Malgré le Covid. Ce sont des chiffres que l’on voit rarement dans ce lieu d’exposition. Nous sommes très satisfaits.
M. C.: Par rapport à d’autres expositions, comment pouvez-vous quantifier le nombre de visiteurs?
D. R.: Je n’ai pas encore les données définitives, mais elles sont certainement plus élevées.
M. C.: En règle générale, quelle partie du coût est couverte par les billets d’entrée?
D. R.: Je n’ai pas les chiffres. Quoi qu’il en soit, l’exposition s’est très bien déroulée.
M. C.: Combien avez-vous dépensé pour la mettre en place?
D. R.: Peu. En tant qu’archives historiques de Lugano, nous avons collaboré avec d’autres organisations sur le territoire. Les coûts sont très faibles par rapport au résultat final.
M. C.: En parlant d’argent, Vincenzo Vicari avait un fort esprit d’entreprise. Est-ce que cela le rend différent des autres artistes?
D. R.: Absolument oui. En regardant la réalité, il était capable de se déplacer dans tous les domaines. Il a joué son professionnalisme dans la photographie mais aussi dans le cinéma et toujours avec une incroyable vitalité entrepreneuriale. Je pense aux vieilles caméras qu’il a collectées auprès de ses collègues et qu’il a ensuite données à ses clients en leur demandant de venir le voir pour développer les films. Tout à fait brillant. Lors du championnat du monde de cyclisme de 1953, à Lugano, Vicari a lancé les pellicules depuis l’hélicoptère à ses collègues pour qu’ils les développent et vendent les images avant la fin de la course.
M. C.: Combien d’expositions avez-vous déjà organisées?
D. R.: Je suis responsable depuis 2012 en tant qu’archiviste pour la ville de Lugano. C’est ma première exposition.
M. C.: Si vous pouviez refaire cette exposition, y changeriez-vous quelque chose?
D. R.: Certaines photographies auraient mérité d’être vues en plus grand format. Mais l’espace est limité. Il faudrait donc sacrifier une partie du matériel.
M. C.: Les photos de Vicari documentent les grandes transformations économiques du Tessin au XXe siècle. Cependant, peu des plus de mille photos aériennes ont été exposées. Pourquoi?
D. R.: Les photos aériennes sont certainement celles qui documentent le mieux la transformation du territoire. Mais en pourcentage, elles sont très peu nombreuses par rapport au total. Notre base de données contient environ 800 photos aériennes. Chaque semaine, nous ajoutons de nouveaux éléments. De cette façon, les utilisateurs peuvent se rapprocher du détail de l’image et rechercher des photos de la municipalité qui les intéresse.
M. C.: D’autres expositions sont-elles prévues?
D. R.: Pas pour le moment. Proposer des expositions ne fait pas partie du mandat de notre bureau.
M. C.: Était-ce un projet exceptionnel?
D. R.: Dans le passé, les archives ont produit plusieurs expositions. Puis le budget a été réduit en raison des difficultés financières de la ville.
M. C.: Vous êtes nombreux au Tessin à exercer votre profession?
D. R.: En dehors des archives cantonales, seuls Locarno et Mendrisio ont leur propre archiviste qualifié.
M. C.: Quelle est la meilleure chose dans votre profession?
D. R.: Certainement la possibilité de connaître l’histoire de notre territoire. De plus, le contact avec les utilisateurs est très agréable. Il y a parfois des moments passionnants: des personnes ayant un passé difficile qui cherchent l’histoire de leur famille. C’est toujours agréable d’aider à reconstruire les racines.
M. C.: Et la plus difficile?
D. R.: Je ne sais pas.
M. C.: Votre plus grande déception professionnelle?
D. R.: Heureusement, je n’en ai pas eu.
M. C.: Votre plus grande satisfaction?
D. R.: Une femme essayait de trouver le nom de son père qu’elle n’avait jamais rencontré. Grâce à nos archives, en consultant également d’autres archives, nous avons pu reconstituer l’histoire familiale de cette femme donnant un visage à son père. Qui était mort depuis quelques années. Ce fut peut-être le moment le plus fort et le plus excitant de mon travail. Quelque chose qui n’arrive peut être qu’une fois dans la vie.
M. C.: Que recommanderiez-vous à un jeune qui veut faire ce travail?
D. R.: Il doit y avoir une passion pour l’histoire du territoire. Vous devez faire face à la documentation avec le désir d’en savoir toujours plus et de ne pas vous arrêter à ce que vous savez déjà.
Vincenzo Vicari, Sala delle macchine nella centrale di Biasca / Salle des machines de l’usine de Biasca, 1965 © Vincenzo Vicari / Archivio storico della Città di Lugano Camioni della fabbrica di gelati Luganella / Camions de la fabrique de glaces Luganella, 1960 © Vincenzo Vicari / Archivio storico della Città di Lugano Cassette di sicurezza della Banca della Svizzera italiana (BSI) a Lugano / Coffres-forts de la Banca della Svizzera italiana (BSI) à Lugano, 1970 © Vincenzo Vicari / Archivio storico della Città di Lugano Diga del Lucendro / Barrage de Lucendro, 1953 © Vincenzo Vicari / Archivio storico della Città di Lugano Diga del Luzzone / Barrage de Luzzone, circa / vers1965 © Vincenzo Vicari / Archivio storico della Città di Lugano Operaie imballano sigarette alla fabbrica Orienta di Lugano / Des ouvrières emballent des cigarettes à l’usine Orienta de Lugano, 1937 © Vincenzo Vicari / Archivio storico della Città di Lugano Veduta aerea di Lugano dal Parco Ciani a Via Serafino Balestra / Vue aérienne de Lugano du Parco Ciani à la Via Serafino Balestra, 1949 © Vincenzo Vicari / Archivio storico della Città di Lugano Veduta dall’elicottero durante i campionati di ciclismo del 1953 / Vue depuis l’hélicoptère lors des championnats cyclistes de 1953 © Vincenzo Vicari / Archivio storico della Città di Lugano Autoritratto con Leica, 1929-1931 / Autoportrait avec Leica, 1929-1931 © Vincenzo Vicari / Archivio storico della Città di Lugano
Vincenzo Vicari Fotografo, «Il Ticino che cambia»
MASI, Lugano
Fino al 10 gennaio 2021
Orari:
Ma / Me / Ve: 10 – 17h
Gi: 10 – 20h
Sa / Do / Festivi: 10 – 18h
Lunedì chiuso
Catalogo
«Vincenzo Vicari Fotografo. Il Ticino che cambia»
Edizioni Casagrande
Prezzo: 44.- CHF
«Vincenzo Vicari Fotografo. Il Ticino che cambia»
MASI, Lugano
Jusqu’au 10 janvier 2021
Horaires:
Ma / Me / Ve: 10 – 17h
Je: 10 – 20h
Sa / Di / Jours fériés: 10 – 18h
Lundì fermé
Catalogue
«Vincenzo Vicari Fotografo. Il Ticino che cambia»
Editions Casagrande
Prix : 44.- CHF
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